Tra gli interventi più autorevoli del convegno di Camaldoli, svoltosi nell’omonimo monastero del Casentino dal 21 al 23 luglio, in occasione degli 80 anni dalla redazione del Codice di Camaldoli – che, ricordiamo, fu a fondamento dell’azione politica dei cattolici nell’Assemblea costituente –, uno degli interventi più autorevoli è stato quello di Marta Cartabia, già presidente della Corte costituzionale e ministro della giustizia, oggi tornata in ambito accademico come professore di diritto costituzionale.

Cartabia ha ricordato alcune direttrici che caratterizzarono quell’evento e che ancora oggi possono esserci utili se vogliamo, da cattolici, contribuire al rinnovamento della società. In primo luogo il fatto che nell’Assemblea costituente (1947) la parte cattolica non aveva grandi numeri, o almeno non aveva la maggioranza, e che, anche per questo motivo, sia al suo interno, ove esistevano idee diverse tra loro, sia nel confronto con le altre forze politiche, prevalse in essa l’istanza dell’unità su quella della divisione, anche a costo di dolorose rinunce. Un esempio? Quando La Pira ritrattò la richiesta di inserimento nel preambolo di una frase di invocazione a Dio e poi lo ritrattò, conscio dell’ostilità da parte di socialisti e comunisti. I cattolici, dunque, furono protagonisti di quella stagione dell’unità, capaci di offrire terreni di incontro per arrivare alla redazione finale della Costituzione repubblicana, che molti all’estero ancora ci invidiano.
In secondo luogo la tutela della persona di fronte alla società e allo Stato. Figlia del personalismo cristiano, tema fondamentale della dottrina sociale della Chiesa, elemento tipico del costituzionalismo moderno, questa tutela era tanto più attuale in quanto si usciva dall’esperienza del totalitarismo tra le due guerre. Lo Stato totalitario, infatti, mise in crisi la persona in quanto tale, fino al suo annichilimento morale e sociale. I giovani di Camaldoli vollero ribaltare la prospettiva fascista ma anche superare il costituzionalismo ottocentesco liberale, che non aveva saputo fare argine allo Stato lasciando campo libero al fascismo. Quei giovani misero al centro, dunque, la necessità di mettere in atto dispositivi di protezione della persona di fronte allo strapotere del potere pubblico che, tanto nel Codice quanto nella futura Costituzione repubblicana, portò ad affiancare ai diritti individuali quelli sociali (lavoro, assistenza, ecc.), pena il pericolo di mettere a rischio i primi, consentendo un’eguaglianza sostanziale nel rimuovere ogni ostacolo in tal senso e tutelare la piena dignità umana. Di fronte ai nuovi poteri forti – due per tutti: l’algoritmo e l’Intelligenza artificiale – la libertà della persona è anora oggi in pericolo. Urge una riflessione profonda e il mondo cattolico ha tutti gli strumenti per agire.
Un altro elemento fu la realizzazione di un nuovo ordine economico e sociale, a partire dalla proprietà privata che, come sancisce l’art. 42 della Costituzione, deve essere dotata di una funzione sociale. A Camaldoli furono dedicati molti articoli alla proprietà, soprattutto in riferimento ai mezzi di produzione, che, nel pieno rispetto della proprietà privata, legittimarono però il ruolo dello Stato come regolatore e coordinatore dell’economia e come attore diretto delle attività economiche. Quale pensiero e quale azione elaborare, dunque, oggi come cristiani di fronte a temi come il salario minimo, l’immigrazione, la cura degli anziani, il lavoro… ?
Infine, Cartabia ha offerto due riflessioni di metodo che uscirono da Camaldoli e utili anche qui per l’oggi. Innanzitutto il fatto che quei giovani cattolici, ottant’anni fa basarono i loro ragionamenti certamente sul magistero della chiesa (in particolare sulla dottrina sociale della Chiesa), ma seppero fare un ulteriore lavoro “laico” di rielaborazione e sviluppo alla luce delle concrete contingenze storiche e con l’apporto di professionisti, giuristi, economisti, politici, eccetera. Dunque rinnovamento nella fedeltà, per avere i piedi ben piantati nella Chiesa e, insieme, nella concretezza della vita. Questo anche per cercare di rendere condivisibili da parte di altre formazioni politiche le proprie idee, cosa che, come è nella logica delle cose, non sempre avvenne in sede di Assemblea costituente.
Infine, il grande valore dato alla dimensione umana della relazione, di cui la nostra Costituzione rimarrà poi impregnata grazie proprio all’apporto di quei giovani. Si pensi solo che nella Costituzione, nei primi quattro titoli dedicati ai diritti fondamentali, compare sempre nell’intestazione la parola “rapporti”. Significativo, perché la relazione diventa così un fondamentale criterio di interpretazione di tutta la Carta fondamentale. Il valore della persona umana, dunque, non è solo proclamato, ma realizzato in una fitta trama di relazioni. Cosa ci insegna questo oggi, in un contesto fortemente individualizzato e sempre più egoistico?