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Landkreis Esslingen und Gemeinden streiten ums Geld

Es ist ein sperriges Thema, das nur schwer zu vermitteln ist. Bis zu diesem Punkt herrschte Einigkeit. Es ist auch ein Thema für nüchterne Analysen – sollte man meinen. Stattdessen wurde es in der letzten Sitzung des Kreistags vor der Sommerpause beim wichtigsten Punkt auf der Tagesordnung emotional. Eine Mehrheit aus Freien Wählern, SPD, FDP und Grünen hat sich mit der Forderung durchgesetzt, den Finanzausgleich zwischen dem Landkreis und seinen 44 Städten und Gemeinden neu zu regeln und dabei auch die Verschuldung der Kommunen stärker in den Blick zu nehmen. Gegen den Willen der Verwaltung, die lediglich in Reihen von CDU und AfD Unterstützer fand. Landrat Heinz Eininger zeigte sich gar persönlich getroffen. Aus seiner Sicht bedroht der Vorstoß das Miteinander in der „kommunalen Familie“.
Worum geht es? Über die Kreisumlage beteiligen sich die Kommunen an den staatlichen Aufgaben des Landkreises. Wo es um soziale Hilfen geht, die Finanzierung von gewerblichen Schulen oder um Themen wie Nahverkehr und Straßenbau. Mögliche Überschüsse im Kreishaushalt werden seit knapp zehn Jahren zu 60 Prozent für die Eigenfinanzierung von Investitionen und zum Schuldenabbau herangezogen. Der Rest dient einer möglichen Senkung der Kreisumlage, um die Kommunen zu entlasten. Leitlinien, auf die sich der Kreistag im Dezember 2017 verständigt hat und die seitdem als Erfolgsmodell gelten. Das Problem aus Sicht der Kritiker: Die beim Haushaltsbeschluss festzusetzende Kreisumlage fußt auf Vorausberechnungen. Tatsächlich hat der Landkreis von 2017 bis 2021 rund 150 Millionen Euro mehr eingenommen als im Etat veranschlagt. Allein für 2022 wird mit einem um 25 Millionen Euro verbesserten Ergebnis gerechnet. Ursache dafür waren meist deutlich höhere Finanzzuweisungen durch das Land und satte Mehreinnahmen bei der Grunderwerbsteuer. Freie Wähler, SPD und FDP werfen der Verwaltung deshalb seit Jahren vor, Ausgabenposten, etwa bei Personal- und Sachkosten, systematisch groß- und zu erwartende Einnahmen kleinzurechnen. „Die Überschüsse haben zwischenzeitlich Dimensionen angenommen, die man gegenüber den Kommunen, denen es nicht so gut geht, nicht mehr vermitteln kann“, begründet der Fraktionschef der Freien Wähler, Bernhard Richter, den gemeinsamen Antrag. Demnach soll die Ergebnisrücklage auf 20 Prozent der Aufwendungen festgeschrieben und jede Abweichung im folgenden Jahr über die Kreisumlage ausgeglichen werden. SPD-Finanzsprecher Ingo Rust bringt das Thema auf einen einfachen Nenner: „Wenn am Ende des Jahres Geld übrig bleibt, wird es verwendet. Wo ein Minus steht, wird im nächsten Jahr über die Kreisumlage nachfinanziert.“ Gleichzeitig soll es der Kämmerei nicht mehr möglich sein, Überschüsse einfach ins Basiskapital umzubuchen, in den „Bunker der Verwaltung“, wie FDP-Fraktionschef Ulrich Fehrlen es nennt.
Die Grünen halten die Änderungen für vertretbar. Angesichts der finanziell angespannten Lage in vielen Kommunen sei man zum Kompromiss bereit, sagt Fraktionssprecher Rainer Moritz. Der Beschluss sei aber nur ein Zwischenschritt auf dem Weg zu neuen Verhandlungen. Die Linke hält beide Wege für falsch. In Haushaltsberatungen sei kein Platz für Automatismen, betont ihr Vorsitzender Peter Rauscher.
Ganz anders sieht es die CDU. Deren Fraktionschef Sieghart Friz äußert wenig Verständnis, sich in Zeiten gewaltiger Investitionen und hoher Zinsen „ohne Not“ vom seitherigen Erfolgsmodell zu verabschieden. Friz verwies darauf, dass die Zeiten satter Überschüsse ohnehin vorbei seien. Er gehe nicht davon aus, dass die Kreisumlage in den kommenden Jahren dann so stark angehoben würde, wie es nötig wäre, um ein Wachsen des Schuldenberges zu verhindern. Man nehme dem Kreis damit die Möglichkeit, Investitionen selbst zu erwirtschaften, meint AfD-Sprecher Ulrich Deuschle und zieht Parallelen: Es sei eine Tatsache, dass sich auch „manche Kommunen vor der Festlegung der Kreisumlage arm rechnen“.
Der Landrat orientiert sich an Fakten: Der Kreis habe mit dem drittniedrigsten Hebesatz das niedrigste Pro-Kopf-Aufkommen bei der Kreisumlage im Regierungsbezirk. Einen Seitenhieb konnte sich Eininger beim letzten Tagesordnungspunkt nicht verkneifen. Dabei ging es um den Abschlussbericht der Gemeindeprüfungsanstalt, der mit einem Lob für solide Finanzführung endet. Eininger: „Das bezieht sich allerdings auf die Jahre 2014 bis 2019.“

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WEB UN MORTALE DIVORZIO TRA POLITICA E CULTURA: IL MONITO SEVERO DI ZUPPI

Ottant’anni fa un manipolo di giovani cattolici, sollecitati dall’Arcivescovo di Bergamo, monsignor Adriano Bernareggi, si ritrovò a Camaldoli per discutere degli assetti futuri dell’Italia. Dal 18 al 24 luglio 1943 – quando ormai si intuiva la fine del Fascismo, che infatti cadrà nella riunione del Gran Consiglio il giorno dopo, aprendo una crisi istituzionale che sfocerà l’8 settembre successivo nell’Armistizio e, quindi, nella guerra civile che insanguinerà l’Italia per un anno e mezzo -, fu redatto qul documento programmatico che resterà negli annali come “Codice di Camaldoli”. Una serie di orientamenti che, all’indomani della fine della guerra, costituirà il serbatoio di idee che ispirerà i cattolici nel dare il loro fondamentale contributo alla Costituzione e, quindi, alla nuova Italia che uscirà dalla Seconda Guerra Mondiale.

Guidati dal giovane economista Sergio Paronetto, vi parteciparono alcuni protagonisti della futura vita repubblicana e tutti i livelli, politico e accademico: tra questi Ezio Vanoni, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giulio Andreotti, Giuseppe Capograssi.

In occasione di questo evento si è aperto il 21 luglio presso il monastero di Camaldoli un convegno dal titolo “Il Codice di Camaldoli”, con l’eccezionale presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella e del Presidente della Cei monsignor Matteo Zuppi, reduce dalla trasferta negli Stati Uniti.

Dopo aver toccato Kyiv e Mosca, Zuppi ha incontrato a Washington il presidente degli Stati Uniti Biden, per discutere sulle possibili soluzioni per la guerra in Ucraina e, più realisticamente nel breve periodo, di possibili accordi parziali di carattere umanitario.

Ricordando quei giorni del 1943 a Camaldoli, Zuppi nella sua prolusione, ha detto parole forti, che aiutano la riflessione in questo tempo senza tempo, in cui l’azione politica nel senso più nobile del termine latita. Il capo dei vescovi italiani ha ricordato che «la presenza politica, che avrebbe segnato la ricostruzione e i decenni successivi, rinasceva dal grembo della cultura» che quei giovani esprimevano. E il problema oggi, per il Presidente della Cei sta proprio qui, in quella parola magica: cultura. 

«Uno dei problemi oggi è proprio il divorzio tra cultura e politiva – e questo non solo per i cattolici! – consumatosi negli ultimi decenni del Novecento, con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati, molto polarizzati». Parole forti che denunciano quello che tutti sanno, ma che pochi dicono: la democrazia è in pericolo, e con lei la pace.

«L’infiacchimento della democrazia», ha detto davanti a Mattarella e ai tanti presenti, «è sempre un cattivo presagio per la pace»; «bisogna risvegliare gli sguardi e le menti, per superare il circolo vizioso per cui tutto diventa impossibile». Ne è seguito l’elogio di papa Francesco, che come hanno fatto tutti i Papi del Novecento, difende strenuamente la pace, «insistendo sulla fraternità quando dilaga l’estraneità», favorita dai dilaganti populismi un po’ in tutte le regioni del globo.

Infine, un invito al popolo cattolico: «I credenti devono avere il coraggio, nel rispetto delle diverse sensibilità, di interrogarsi dialogando e ascoltandosi, che vuol dire ispirarsi al Vangelo nella costruzione della comunità umana». E devono farlo singolarmente e comunitariamente per combattere quei «protagonismi che indeboliscono se non sanno scegliere l’umiltà del confronto e del pensarsi insieme». Un invito, dunque, a pnsare e a fare del pensiero un’azione a favore del bene comune.

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CODICE DI CAMALDOLI? IL PENSIERO DI MARTA CARTABIA

Tra gli interventi più autorevoli del convegno di Camaldoli, svoltosi nell’omonimo monastero del Casentino dal 21 al 23 luglio, in occasione degli 80 anni dalla redazione del Codice di Camaldoli – che, ricordiamo, fu a fondamento dell’azione politica dei cattolici nell’Assemblea costituente –, uno degli interventi più autorevoli è stato quello di Marta Cartabia, già presidente della Corte costituzionale e ministro della giustizia, oggi tornata in ambito accademico come professore di diritto costituzionale.

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Cartabia ha ricordato alcune direttrici che caratterizzarono quell’evento e che ancora oggi possono esserci utili se vogliamo, da cattolici, contribuire al rinnovamento della società. In primo luogo il fatto che nell’Assemblea costituente (1947) la parte cattolica non aveva grandi numeri, o almeno non aveva la maggioranza, e che, anche per questo motivo, sia al suo interno, ove esistevano idee diverse tra loro, sia nel confronto con le altre forze politiche, prevalse in essa l’istanza dell’unità su quella della divisione, anche a costo di dolorose rinunce. Un esempio? Quando La Pira ritrattò la richiesta di inserimento nel preambolo di una frase di invocazione a Dio e poi lo ritrattò, conscio dell’ostilità da parte di socialisti e comunisti. I cattolici, dunque, furono protagonisti di quella stagione dell’unità, capaci di offrire terreni di incontro per arrivare alla redazione finale della Costituzione repubblicana, che molti all’estero ancora ci invidiano. 

 

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In secondo luogo la tutela della persona di fronte alla società e allo Stato. Figlia del personalismo cristiano, tema fondamentale della dottrina sociale della Chiesa, elemento tipico del costituzionalismo moderno, questa tutela era tanto più attuale in quanto si usciva dall’esperienza del totalitarismo tra le due guerre. Lo Stato totalitario, infatti, mise in crisi la persona in quanto tale, fino al suo annichilimento morale e sociale. I giovani di Camaldoli vollero ribaltare la prospettiva fascista ma anche superare il costituzionalismo ottocentesco liberale, che non aveva saputo fare argine allo Stato lasciando campo libero al fascismo. Quei giovani misero al centro, dunque, la necessità di mettere in atto dispositivi di protezione della persona di fronte allo strapotere del potere pubblico che, tanto nel Codice quanto nella futura Costituzione repubblicana, portò ad affiancare ai diritti individuali quelli sociali (lavoro, assistenza, ecc.), pena il pericolo di mettere a rischio i primi, consentendo un’eguaglianza sostanziale nel rimuovere ogni ostacolo in tal senso e tutelare la piena dignità umana. Di fronte ai nuovi poteri forti – due per tutti: l’algoritmo e l’Intelligenza artificiale – la libertà della persona è anora oggi in pericolo. Urge una riflessione profonda e il mondo cattolico ha tutti gli strumenti per agire.

 

Un altro elemento fu la realizzazione di un nuovo ordine economico e sociale, a partire dalla proprietà privata che, come sancisce l’art. 42 della Costituzione, deve essere dotata di una funzione sociale. A Camaldoli furono dedicati molti articoli alla proprietà, soprattutto in riferimento ai mezzi di produzione, che, nel pieno rispetto della proprietà privata, legittimarono però il ruolo dello Stato come regolatore e coordinatore dell’economia e come attore diretto delle attività economiche. Quale pensiero e quale azione elaborare, dunque, oggi come cristiani di fronte a temi come il salario minimo, l’immigrazione, la cura degli anziani, il lavoro… ?

Infine, Cartabia ha offerto due riflessioni di metodo che uscirono da Camaldoli e utili anche qui per l’oggi. Innanzitutto il fatto che quei giovani cattolici, ottant’anni fa basarono i loro ragionamenti certamente sul magistero della chiesa (in particolare sulla dottrina sociale della Chiesa), ma seppero fare un ulteriore lavoro “laico” di rielaborazione e sviluppo alla luce delle concrete contingenze storiche e con l’apporto di professionisti, giuristi, economisti, politici, eccetera. Dunque rinnovamento nella fedeltà, per avere i piedi ben piantati nella Chiesa e, insieme, nella concretezza della vita. Questo anche per cercare di rendere condivisibili da parte di altre formazioni politiche le proprie idee, cosa che, come è nella logica delle cose, non sempre avvenne in sede di Assemblea costituente.

Infine, il grande valore dato alla dimensione umana della relazione, di cui la nostra Costituzione rimarrà poi impregnata grazie proprio all’apporto di quei giovani. Si pensi solo che nella Costituzione, nei primi quattro titoli dedicati ai diritti fondamentali, compare sempre nell’intestazione la parola “rapporti”. Significativo, perché la relazione diventa così un fondamentale criterio di interpretazione di tutta la Carta fondamentale. Il valore della persona umana, dunque, non è solo proclamato, ma realizzato in una fitta trama di relazioni. Cosa ci insegna questo oggi, in un contesto fortemente individualizzato e sempre più egoistico?

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